ALLEVAMENTI ITTICI E SALUTE

Tra le diverse problematiche legate agli allevamenti ittici ve ne sono anche di legate direttamente alla salute del consumatore. Oltre l’effetto sull’ecosistema degli antibiotici utilizzati in acquacoltura, è una questione chiave anche la possibilità, già paventata per l’allevamento zootecnico tradizionale, di trasferire la resistenza agli antibiotici attraverso la catena trofica ai ceppi batterici che colpiscono l’uomo.  

La Commissione europea e il Parlamento europeo hanno sollevato preoccupazioni legate alle “sostanze indesiderabili” nei mangimi animali, tra cui farine di pesce e olio di pesce, che sono contaminati dalla diossina, e all’impiego di antibiotici per accelerare la crescita. I maggiori rischi derivano dall’inquinamento del Mare del Nord e del Baltico, da dove proviene buona parte del pesce utilizzato nei mangimi degli allevamenti. Le concentrazioni più alte di inquinanti si trovano nei pesci di pezzatura maggiore, come il salmone, perché le sostanze dannose si accumulano soprattutto nel grasso che abbonda nei pesci più pregiati. Anche l’Efsa (Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare), si è posto il problema di diossina e Pcb (policlorobifenili), che possono alterare il funzionamento degli ormoni tiroidei e interferire con lo sviluppo del sistema nervoso e sono classificati dalla Iarc (International agency for research on cancer) come probabili cancerogeni. 

Secondo uno studio del 2019 pubblicato su Nature, gli abitanti di 66 Paesi mangiano pesce nel quale la concentrazione di mercurio – prodotto da attività umane e naturali e accumulato nei mari – è superiore a quella ritenuta pericolosa per un feto in crescita.   

Ottime fonti alternative di omega-3 sono noci, semi/olio di lino e semi di chia macinati.   

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Francesca Scatà